Esuli-ambiente-locandina-nuova

 

Produzione
Clipper Media e RAI Cinema

Regia
Barbara Cupisti

Soggetto
Barbara Cupisti in collaborazione con Natascia Palmieri

Fotografia
Sandro Bartolozzi

Montaggio
Alessandro Marinelli

Musiche
Tommaso Gimignani, Franco Eco

Production Manager
Natascia Palmieri

Realizzato con la collaborazione di
Survival International

Con il Patrocinio di
Amnesty International Sezione italiana

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Durata
80’

La trilogia

Esuli. L’ambiente

Il terzo documentario è dedicato ai profughi ambientali e agli esuli da conflitti ambientali, un numero sempre crescente di persone, prive di tutele giuridiche e che vivono un dramma di cui si parla poco.

I profughi ambientali sono quanti si sono trovati costretti ad abbandonare le proprie case a causa di fenomeni quali degrado ambientale, depauperamento delle risorse, inquinamento, disastri naturali che determinano l’impossibilità di garantirsi dei mezzi di sostentamento nei territori di residenza. Si tratta, generalmente, di fenomeni quali siccità, desertificazione, erosione del suolo, deforestazione, ristrettezze idriche e cambiamento climatico come anche di disastri naturali quali cicloni, tempeste, terremoti ed alluvioni. Si stima che, ogni anno, ci siano circa 6 milioni di profughi ambientali. Un fenomeno che per il 2050, secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, potrebbe riguardare 200/250 milioni di persone.

Accanto ai profughi ambientali, gli esuli da conflitti ambientali sono costretti ad abbandonare le proprie case a causa di opere infrastrutturali pubbliche o private e di progetti di sfruttamento delle risorse naturali che, in nome dello “sviluppo economico”, sacrificano l’ambiente e i diritti delle popolazioni locali.

Anche in questo caso, si tratta di un fenomeno in costante crescita tanto che si stima che attualmente siano presenti nel mondo più di mille conflitti ambientali, che colpiscono principalmente le comunità povere e le popolazioni indigene. Processi di spoliazione di risorse naturali in cui sono coinvolte più di 2.000 imprese e istituzioni finanziarie, inclusi molti soggetti statali dei Paesi sviluppati e dei Paesi a economia emergente, che determinano lo sgombero forzato d’intere comunità, inquinamento, deforestazione ed erosione dei suoli, cambiamenti climatici e perdita di mezzi di sussistenza per le popolazioni locali.

Spesso questi progetti si scontrano con le proteste e l’opposizione delle comunità attraverso azioni giudiziarie, ma nella grande maggioranza dei casi si concludono con l’impunità per le aziende. Tuttavia, tra queste storie di devastazione ambientale, usurpazione e persecuzione degli attivisti, si segnalano casi emblematici e coraggiosi di resistenza.

E’ il caso dei Guaranì del Mato Grosso do Sul in Brasile, che hanno praticamente visto sottrarsi, nel corso dei secoli, tutto il loro territorio ancestrale. Ondate successive di deforestazione hanno trasformato la terra dei Guarani, un tempo fertile, in un’ampia rete di allevamenti di bestiame e piantagioni di canna da zucchero per il mercato brasiliano dei biocarburanti. A causa della distruzione della foresta le varie comunità non possono più cacciare e pescare, la terra è a malapena sufficiente per seminare i raccolti e la malnutrizione è un grave problema. Alcuni gruppi sono rimasti completamente senza terra e vivono accampati ai margini delle strade. Molti altri vivono in minuscole riserve sovraffollate, con conseguenze sociali drammatiche. La risposta di questo popolo profondamente spirituale alla perenne mancanza di terra è stata un’epidemia di suicidi unica nel Sud America. Da qualche tempo però, molte comunità Guaranì stanno cercando di recuperare piccoli lembi della loro terra ancestrale. Questo fenomeno, detto “retomada”, è osteggiato fortemente dagli allevatori violenti che periodicamente ri-occupano la regione. Spesso gli allevatori assoldano sicari armati per difendere le “loro” proprietà: i Guarani uccisi durante, o poco dopo, una retomada sono tanti. La piccola comunità di Ñanderú Marangatú è un esempio tipico. Sebbene la legge le riconosca il diritto di vivere all’interno di una riserva di 9.000 ettari, nel 2005 la tribù è stata sfrattata dagli allevatori sotto la minaccia delle armi. Ma la comunità è ritornata, dimostrando grande coraggio. E’ da questa storia pluriennale di persecuzione e resistenza che il documentario parte per affrontare il tema di uno sviluppo economico che, non tenendo in dovuta considerazione i diritti umani così come i diritti delle comunità locali sulle proprie terre e risorse, genera, con sempre maggiore frequenza, nuovi esuli.

Come nel caso degli esuli da conflitti ambientali, la destinazione dei profughi ambientali sono spesso le città limitrofe ai propri territori. Si tratta difatti di persone che provengono da aree povere basate su economie di sussistenza e dunque dotate di mezzi insufficienti a permettere lunghi viaggi e migrazioni internazionali.

Il cambiamento climatico non è soltanto un problema per i Paesi in Via di Sviluppo. Molte società occidentali, e altamente sviluppate, si trovano ad affrontare gli effetti di questo cambiamento, come il caso della California.

Per il quarto anno, la California sta avendo un record di siccità che genera un drammatico inaridimento del territorio. Nel gennaio del 2015, il Governatore Jerry Brown ha dichiarato lo Stato di Emergenza e ha imposto rigorose misure di conservazione in tutto lo Stato.

A causa dell’innalzamento delle temperature, nel corso degli ultimi 100 anni, la siccità in California è aumentata vertiginosamente. Uno recente studio ha dimostrato come l’attuale situazione, dovuta in gran parte al record di alte temperature registrate, sia la peggiore da 1200 anni a questa parte.

Qui abbiamo incontrato Donna Johnson, una volontaria che in prima persona ha subito le conseguenze della siccità, che ha deciso di aiutare quelle famiglie che si trovano a vivere in case senza più acqua corrente. La seguiamo mentre con il suo pick up distribuisce l’acqua. I protagonisti raccontano di storie drammatiche, di anziani o di intere famiglie che hanno investito tutti i loro beni per costruirsi delle case in cui ora non è più possibile abitare (secondo la legge degli Stati Uniti le abitazioni che non sono più servite dall’acqua corrente devono essere segnate di rosso). Queste persone si trovano di fronte alla reale possibilità di essere sfrattati dalle loro stesse abitazioni e di diventare degli sfollati in America, la nazione più sviluppata del mondo.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2050 circa 250 milioni di persone saranno costrette a lasciare le loro case divenendo così dei rifugiati ambientali.

Questo è il messaggio che il documentario vuole dare. Attraverso i secoli, le popolazioni indigene ci ricordano che l’uomo e l’ambiente non devono essere considerati come parti separate. Ci ricordano che il Cuore è la nostra Madre Terra e che il modello di sviluppo economico occidentale può provocare il collasso ambientale e la morte stessa dell’uomo.

Nonostante il numero sempre più crescente, gli esuli da conflitti ambientali e i rifugiati ambientali non hanno ancora ricevuto un formale riconoscimento giuridico e sono tuttora un fenomeno poco conosciuto, sebbene i recenti sforzi dei leader spirituali, come quello di Papa Francesco che nel 2015 ha pubblicato l’Enciclica sull’ambientale, tentino di far accresce l’attenzione della Comunità internazionale su questo problema.

Il documentario vuole dare un contributo affinché queste situazioni siano maggiormente conosciute e affinché le storie di questi Esuli del terzo millennio non siano dimenticate.

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